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L’inserimento al nido ed attaccamento: l’esperienza di un’educatrice

Updated: Sep 21, 2021

L'inserimento stressante: attaccamento insicuro


Premessa[1]

L’inserimento al nido rappresenta una fase delicata per il bambino e la sua famiglia , fase che si carica spesso di aspettative, desideri, paure e fobie che nulla hanno a che vedere con un “passaggio” difficile ma “naturale” nella vita di un piccolo essere umano.

L’inserimento al nido, rappresenta per il bambino il primo debutto in società, carico di importanti novità delle quali, ricordiamo, il bambino è vorace.

Se da un lato il piccolo è spaventato dal ritrovarsi in un ambiente nuovo con adulti sconosciuti e tanti altri nani come lui, è anche vero che la naturale curiosità di ogni bambino, un po’ di dolcezza e qualche coccola aiutano a superare la fase inziale permettendo al piccolo di sentirsi in un luogo sicuro e dopo poco tempo, interessante per svolgere il serissimo compito di giocare.

Anche per la maggior parte dei genitori, questo passaggio, per quanto delicato, viene vissuto come la prima prova importante del bambino a contatto con una comunità differente rispetto a quella dell’intimo contesto familiare e per quanto doloroso sia lasciare tua figlia che piange disperata, la maggior parte dei genitori comprende che superate le prime fasi, con il tempo il proprio figlio si abitua alla “novità”.

Questo quello che dovrebbe essere. All’atto pratico tuttavia, per alcune famiglie e bambini, il momento dell’inserimento si carica di timori e ansie.

E’ evidente quindi che il vissuto dei genitori, le loro aspettative come adulti e come genitori e quello che pensano degli altri individui in generale, entrino in azione interferendo con la percezione che il bambino ha dell’’intero processo e della sua futura vita presso il nido.

Mi è sembrato interessante raccogliere alcune riflessioni scaturite durante i molti inserimenti osservati dal punto di vista della teoria dell’attaccamento, per evidenziare come l’inserimento venga vissuto in modo così differente dalle diverse famiglie e dai piccoli.


A questo fine, non è necessario richiamare qui la teoria dell’attaccamento sviluppata da Bowlby[2], concetti oramai consolidati che possono essere facilmente reperibili in rete.

Richiamiamo alcune nozioni della recente ricerca relativa all’attaccamento, attinenti alle competenze emotive del bambino in età da nido (0 -36 mesi).

Lo sviluppo infantile è ricondotto dalle teorie e dalle ricerche più recenti, alle interazioni in cui il bambino si trova immerso fin dalla nascita vale a dire tra le interazioni con i genitori e prima ancora, nella condizione fetale, con la madre. Sottolineiamo che accanto a queste prime relazioni, sono significativi gli aspetti individuali espressi dal bambino fin dai suoi primi mesi di vita, sia per le caratteristiche temperamentali e di autoregolazione emotiva, sia da quelle che il bambino sviluppa con gli altri - nella maggior parte dei casi genitori e fratelli - e magari dopo i primi mesi di vita con il gruppo dei pari.

Ma perché quindi la modalità il cui si sviluppa l’attaccamento in ogni piccolo assume un ruolo così importante anche nelle successive fasi di sviluppo?

Quello che è stato osservato è che la capacità di regolazione emotiva è una competenza importante da mettere nella nostra “valigia” della vita: da qui la teoria che un attaccamento sicuro rappresenta per il bambino la possibilità di comunicare ogni emozione, positiva e negativa, ad un altro poiché l’altro viene percepito come disponibile emotivamente.

E gli altri tipi di attaccamento quali comportamenti evidenziano?

In generale è intuitivo, date le premesse, pensare che un attaccamento insicuro, in particolare quello evitante, restringe la possibilità di esprimere le proprie emozioni a fronte di un caregiver vissuto come indisponibile e al contempo incapace di fronteggiare le emozioni espresse dal bambino.

Ma che cosa si osserva quindi durante l’inserimento al nido?

Mi è sembrato interessante declinare con diversi esempi i comportamenti fortemente condizionati dal tipo di attaccamento sviluppato dal bambino, dando alcune indicazioni relativamente al comportamento dell’adulto che per diversi momenti è stato con il gruppo educativo e che si è occupato del processo di inserimento.


[1] La premessa di questo gruppo di articoli è comune per permettere di leggerli in modo separato. Se hai già letto questa parte, puoi andare direttamente alla descrizione dell’inserimento!

[2] Per i più curiosi in fondo all'articolo vi sono i riferimenti bibliografici.


 


L’inserimento stressante: attaccamento insicuro

Come è prassi, l’educatrice fa accomodare la coppia mamma bambino nella grande sala giochi dove sono presenti diverse postazioni di gioco ed il gruppo dei bambini. Al momento dell’inserimento Davide ha 9 mesi, è un bel bambino un po’ grosso per la sua età con un bel sorriso

La madre, Claudia, racconta di aver ricercato questo figlio da tanto tempo ma dopo poco si contraddice dicendo che lei è fatalista su certe cose, e, la solita tiritera, se i figli devono arrivare arrivano.

Si inizia a chiacchierare e l’educatrice osserva immediatamente una persistente diffidenza della madre nei confronti dell’educatrice stessa e nei confronti dell’altra educatrice impegnata a giocare con il gruppo dei bambini, come a voler “controllare” eventuali passi falsi.

L’educatrice pensa che da un momento all’altro Claudia si alzerà per dire la sua su come ci si comporta con i bambini.

L’educatrice decide quindi di tagliare corto con i convenevoli e pone le domande di rito per comprendere meglio che bambino è Davide e le interazioni tra madre e figlio.

Ogni tanto vengono poste domande più specifiche circa l’infanzia di Claudia e se secondo lei vi sono dei punti di contatto tra quanto raccontato dei comportamenti di Davide e le sue esperienze infantili. L’educatrice vira su queste domande perché Claudia inizialmente in modo esitante ma poi via via con un tono esasperato, riferisce che Davide fa fatica ad addormentarsi e fa molti capricci al momento del pasto. Le descrizioni sono confuse e oscillano tra sensi di colpa (la madre perfetta e performante non si lamenta mai del figlio che è perfetto) e pura disperazione o meglio smarrimento nel non saper gestire un bambino che esprime emozioni sempre nella nota negativa.

Il tratto che però emerge più di tutti è lo stile controllante di Claudia nei confronti del bambino tanto che l’educatrice si chiede se e come riuscirà a lavorare con questa famiglia.

Che cosa è stato osservato durante l’inserimento?

Madre e bambino sono su un divano morbido e l’educatrice mette a disposizione della coppia diversi giochi colorati.

Claudia prende un pupazzo a forma di cane e lo mostra a Davide. Il pupazzo, se toccato in un certo punto guaisce e scodinzola. La madre mostra a Davide questa cosa e il bambino si protende verso il pupazzo mentre la madre lo aziona nuovamente senza farglielo toccare.

Il bambino cerca nuovamente di afferrare il pupazzo ma la mamma lo allontana.

Davide appare incuriosito da un altro gioco, la mamma lo prende – è un pupazzo di gomma- e lo fa suonare a distanza. Il bambino cerca di raggiungere l’oggetto senza però cercare di spostarsi ma non riesce. La mamma non si occupa delle difficoltà del bambino e continua a farlo suonare, tanto che l’educatrice si chiede se sia più interessata al figlio o a mostrare quanto sia brava ad azionare il pupazzo!

Apparentemente Claudia non è preoccupata del fatto che Davide sia molto statico, ad eccezione di protendere leggermente le braccia verso gli oggetti che, se non riesce a raggiungere, fissa per un pochino per poi distogliere lo sguardo.

L’educatrice chiede dunque se Davide gattona o “striscia” in casa. La madre risponde di no; se ci pensate, come strategia adattativa appare molto azzeccata: se ho una madre ansiosa e controllante, l’ultima cosa che farò, onde evitare di scatenare scenate, sarà quella di muovermi, e nemmeno tenterò di provare o fargli vedere che desidero muovermi, almeno mi lasciano tranquillo!

Nel proseguio dell’inserimento l’educatrice osserva che Davide è del tutto incapace di staccarsi dalla madre per esplorare l’ambiente quando questa è presente, mantenendo con lei una distanza ravvicinata e riferendosi continuamente a lei nel corso della sua attività di gioco ed esplorazione, peraltro minima.

L'assenza della madre produce in Davide un pianto disperato ed inconsolabile sia con l’educatrice sia al ritorno della madre, madre che in nessun modo durante il periodo di inserimento riesce poi a reindirizzare il bambino verso i giochi e/o consolarlo. L’educatrice osserva inoltre che la madre durante il pianto del bambino non ha la minima idea di cose possa fare per calmarlo e che si sente fortemente a disagio in quanto “esposta” all’osservazione delle educatrici e del gruppo dei bambini incuriositi dal pianto forsennato di Davide.

L’estrema adesività che Davide dimostra nei confronti della madre, rifiutandosi di abbandonare il contatto con lei sembra corrispondere la difficoltà, altrettanto intensa, che la madre rivela ripetutamente nel distaccarsi dal bambino.

Terminata la fase di inserimento Davide è risultato un bambino con eccessiva ricerca di attenzione da parte dell’adulto, scarsa se non nulla interazione con il gruppo dei pari e costante rifiuto ad imparare a muoversi autonomamente nello spazio, tanto che in prossimità del compimento dei 12 mesi, il bambino non solo non sperimentava nessun tentativo nemmeno accennato di camminare, ma nemmeno di gattonare.

Neppure dopo svariati tentativi da parte dell’educatrice di far notare alla famiglia che Davide fosse molto statico, i genitori si sono impensieriti concentrati com’erano a “controllare” cosa le educatrici facessero o meno con il loro figlio durante le ore di nido.

Un episodio su tutti che descrive molto bene il tipo di interazione in quella famiglia: Davide già provvisto di una bella dentatura è tornato a casa un giorno con un pezzettino di mela in bocca. Il giorno seguente la madre tutta agitata ha “sgridato” l’educatrice raccomandandosi in modo fastidioso che un simile episodio non doveva ricapitare poiché il bambino poteva strozzarsi tanto è vero che sia lei che la tata avevano diligentemente frequentato il corso di disostruzione pediatrica. Ripetendolo svariate volte, l’educatrice ha pensato che era il modo di una madre in difficoltà nella gestione di un bambino molto capriccioso ma a ben guardare “sofferente”, di dimostrare quanto fosse una brava madre.

Il comportamento di Davide al nido si è sempre caratterizzato con problematiche relative alla separazione ed al comportamento autonomo e da un temperamento costantemente fisso verso un’emozionalità negativa, fattore che potrebbe aver enfatizzato le difficoltà della madre nell’esercizio della sua responsività.

Riassumendo quanto considerato più sopra, il modello di “funzionare” della madre e probabilmente le sue fantasie su come si fa la madre che guidano il modo in cui essa si rappresenta ed interagisce con il bambino fanno pensare che il modello di attaccamento di Claudia, preoccupato con aspetti di passività, abbia fortemente influenzato il modo di interagire con Davide e più in generale il modo di organizzare il suo accudimento. In altre parole, è ragionevole ipotizzare che da bambina Claudia abbia vissuto uno stile di attaccamento insicuro lei stessa poiché nella sua relazione con il figlio, Claudia rivive l’inaffidabilità sperimentata da bambina rispetto alla sua di madre, come dimostrato dalla sua incapacità di sintonizzarsi con le naturali e sane espressioni di attività ed autonomia del figlio (episodio di interruzione del tentativo di acchiappare il pupazzo a forma di cane) e dall’altro lato il suo essere preoccupata attribuendo a Davide quegli aspetti di sé bambina; fattori che rendono Davide bisognoso di constante contatto fisico con la madre ed incapace di regolazione emotiva e di autonomia.


Bibliografia

Bowlby J. (1969) Attaccamento e perdita, Vol 1. L’attaccamento alla madre. Tr. It. Boringhieri, Torino 1972

Bowlby J. (1988) Una base sicura. Tr. It Raffaello Cortina Editore, Milano 1989

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